Filosofia del blog.

"Se qualcuno riesce a convincermi e dimostrarmi che la mia opinione o il mio comportamento non sono quelli giusti, li cambierò con gioia. Io, infatti, cerco la verità, che non danneggia nessuno. Al contrario danneggia se stesso chi persiste nel proprio errore e nella propria ignoranza." (Marco Aurelio, VI, 21) "Lo studente accorto ascolta volentieri chiunque; legge tutto, e non disprezza alcun libro, né presona, né dottrina. Cerca indifferentemente presso tutti ciò che vede mancare a se, e non considera la portata del suo sapere, ma quella della sua ignoranza [...]. Supererai chiunque in saggezza, se accetti di imparare da chiunque: coloro che ricevono da tutti sono più ricchi di tutti..." (Ugo da S.Vittore, Didascalion) "La lettura rende l'uomo completo, il dialogo lo rende pronto, la scrittura preciso." (Francesco Bacone) ...l'intelligenza non si perde nell'analisi, ma si esprime nella sintesi... ...nel territorio digitale non serve imporsi, ma bisogna esporsi... ...arrivare alla pace del cuore... mostrami Signore la tua via, perché nella verità io cammini, donaci un cuore semplice... insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore...inquietum est cor nostrum, donec requiescat in Te, Domine... "La verità si nasconde nelle pieghe della storia" (Pascal). Chi dimentica il passato, è costretto a riviverlo (G. Santaiana).

domenica 24 luglio 2011

150 ANNI: Squarci di verità sul sottosviluppo del Sud. Anche per ‘THE ECONOMIST’ risorgimento fallito

Dopo mesi della peggiore retorica celebrativa l’anniversario dei 150 anni dell’unificazione politica dell’Italia comincia a restituire squarci di verità sulla condizione dell’ex Regno delle Due Sicilie, l’attuale Sud, al momento dell’invasione.
Studi, ricerche, ed ora anche articoli di stampa che cominciano ad apparire qua e là, smentiscono radicalmente la vulgata di un Sud economicamente arretrato ancora riproposta durante queste celebrazioni da storici marxisti come Lucio Villari, del quale si ricordano le apparizioni nel programma tv “Porta a Porta” oppure crociani come Giuseppe Galasso.
Lettera Napoletana ha dato conto nel numero scorso delle ammissioni del presidente dello Svimez....
(Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) Adriano Giannola sull’inesistenza di un divario Nord-Sud al momento della unificazione-invasione (cfr. Sud: presidente Svimez, il sottosviluppo nasce nel 1861, in LN 40/2011). I dati eloquenti dello Svimez, raccolti nel volume “150 anni di statistiche: Nord e Sud (1861-2011)”, presentato il 30 maggio scorso alla Camera dei deputati, hanno fatto breccia anche su uno stupefatto “L’Espresso” (2.6.2011) , organo di quella cultura azionista che affonda le radici proprio nel Risorgimento.
“Nel 1861 – scrive L’Espresso – il Pil pro capite del Mezzogiorno era pari a quello del Centro-Nord. Poi, è iniziata la marcia a due velocità, che nel giro di novant’anni ha scavato quel solco che non si riesce tuttora a colmare” . Ma c’è un dato – aggiunge il settimanale – che fa scoprire (a L’Espresso, ndr) ancora un’altra realtà: nel 1861, nelle regioni meridionali il 22,8 per cento della popolazione in grado di lavorare era ’attivo nell’industria’ contro il 15,5 del Centro-Nord (….) dopo 140 anni solo un milione e 600 mila meridionali hanno un impiego industriale nella propria terra”.
Una ricerca dell’Unione delle Camere di Commercio (Unioncamere) presentata l’8 giugno scorso conferma i dati dello Svimez e così anche il Corriere del Mezzogiorno (9.6.2011), supplemento del Corriere della Sera diffuso in Campania, Puglia e Sicilia e caratterizzato da una linea editoriale molto ostile alle rivendicazioni di carattere meridionalista, deve ammettere citando la ricerca: “quando nel 1861 l’Italia fu unita Nord e Mezzogiorno condividevano un tenore di vita non molto dissimile” (…) ripercorrendo la storia dei 150 anni si scopre (!) che nel 1861 la Napoli borbonica era la provincia più prosperosa del Sud”. Ma quest’ultimo dato non meraviglia affatto, trattandosi della capitale del Regno delle Due Sicilie. Ben più importante, piuttosto un altro dato “i suoi abitanti avevano un reddito del 2,1% superiore alla media nazionale (23 esima nella classifica per valore aggiunto procapite) e anche a Palermo a Bari (41esima e 44esima) la ricchezza non era di molto sotto la media. I fasti di Napoli, però – conclude il Corriere del Mezzogiorno – cominciano a decadere 10 anni dopo, nel 1871: l’ex capitale dei Borboni scende al 41esimo posto e lo stesso décalage subisce Palermo (56esima)”.
Le ammissioni più significative arrivano dal settimanale inglese The Economist, organo di quel grande capitalismo liberale britannico che sostenne in modo decisivo l’invasione di Garibaldi ed il progetto annessionista piemontese, in articolo-bilancio dei 150 anni dell’Italia del corrispondente da Milano John Prideaux (“Oh for a new Risorgimento”, in The Economist 9.6.2011).
“L’unificazione dell’Italia – scrive The Economist - è oggetto di controversia perché molti fanno risalire gli attuali problemi del Paese alla nascita di una nazione che fu uno sbaglio” (…). “Nel 18 esimo secolo – spiega il settimanale inglese – Napoli era la terza città d’Europa per dimensioni dopo Londra e Parigi. Prima di essere annessa all’Italia era la capitale di un grande Regno; oggi è governata da una cricca di politici incapaci”
“Tutti i Paesi dibattono sulla propria storia –osserva il settimanale – [ma] in Italia è diverso. Molti ritengono che le regioni che hanno costituito il Paese erano troppo diverse tra loro per essere schiacciate in una stessa Nazione e la conseguenza sono le deboli radici dell’Italia” .
Rispetto all’analisi svolta le conclusioni dell’articolo del corrispondente di The Economist, che riconduce al decennio 2000-2010, con uno scontato attacco a Berlusconi, (ma dal 2006 al 2008 governò Romano Prodi) “le attuali difficoltà dell’Italia” , appaiono contraddittorie e perfino sorprendenti. Così come il titolo stesso dell’articolo, che chiama l’Italia ad un “nuovo Risorgimento” mentre nel testo si dà conto del fallimento di quello che c’è già stato. “In realtà – scrive infatti Prideaux – l’Italia è stata fatta da una ristretta élite, quando oltre il 90% degli abitanti della penisola non parlava l’italiano”. E questi dati, da soli, spiegano molto del fallimento dell’unificazione.

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