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"Se qualcuno riesce a convincermi e dimostrarmi che la mia opinione o il mio comportamento non sono quelli giusti, li cambierò con gioia. Io, infatti, cerco la verità, che non danneggia nessuno. Al contrario danneggia se stesso chi persiste nel proprio errore e nella propria ignoranza." (Marco Aurelio, VI, 21) "Lo studente accorto ascolta volentieri chiunque; legge tutto, e non disprezza alcun libro, né presona, né dottrina. Cerca indifferentemente presso tutti ciò che vede mancare a se, e non considera la portata del suo sapere, ma quella della sua ignoranza [...]. Supererai chiunque in saggezza, se accetti di imparare da chiunque: coloro che ricevono da tutti sono più ricchi di tutti..." (Ugo da S.Vittore, Didascalion) "La lettura rende l'uomo completo, il dialogo lo rende pronto, la scrittura preciso." (Francesco Bacone) ...l'intelligenza non si perde nell'analisi, ma si esprime nella sintesi... ...nel territorio digitale non serve imporsi, ma bisogna esporsi... ...arrivare alla pace del cuore... mostrami Signore la tua via, perché nella verità io cammini, donaci un cuore semplice... insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore...inquietum est cor nostrum, donec requiescat in Te, Domine... "La verità si nasconde nelle pieghe della storia" (Pascal). Chi dimentica il passato, è costretto a riviverlo (G. Santaiana).

mercoledì 22 giugno 2011

L’Ordine del Toson d’oro in Italia, dalla fondazione a Carlo II di Spagna


L
’ Ordine del Toson d’oro fu istituito a Bruges da Filippo il Buono duca di Borgogna nel 1429 in occasione delle nozze con la sua terza moglie: Isabella di Portogallo. Le patenti con cui lo costituì mostrano come questo sovrano fosse legato ad un concetto di cavalleria che i tempi stavano ormai superando. Recitavano infatti le sue patenti: “Facciamo sapere a tutti i presenti e a quelli che verranno, che per il grandissimo amore che abbiamo al nobile stato ed ordine della cavalleria di cui desideriamo con ardentissimo e singolare affetto l’onore e l’accrescimento affinché la verace fede cattolica, lo stato della nostra madre Chiesa e la tranquilità e prosperità della cosa pubblica siano il più possibile difese, conservate e mantenute … e per le presenti, fondiamo ed ordiniamo un ordine e fraternità di cavalleria, un’amichevole compagnia di certo numero di cavalieri che vogliamo chiamarsi ordine del Toson d’oro”.....


Il “toson” richiamava il vello e secondo la tradizione ufficiale stava a ricordare l’offerta fatta da Gedeone a Dio allorquando i Madianiti, passato il Giordano, mossero conquista d’Israele. La Bibbia dice che Gedeone rivolto a Dio disse “Se tu stai per salvare Israele per mia mano come hai detto”. La sera dopo Gedeone chiese di poter fare la prova inversa, che solo il vello restasse asciutto e tutto il resto bagnato e così fu. Mosse allora contro i nemici e vinse. Esistono altre voci sulle origini della sua denominazione, una di queste la collega al voler riunire in una comunità un gruppo di cavalieri di eccezionali virtù, come gli Argonauti, mitici cercatori del vello d’oro, la pelle dell’agnello sacro a Giove cercato da Giasone per ritrovare il regno perduto e preservarlo dalle potenze infernali. Altra voce fornisce una versione un po’ meno mitica della vicenda e dice che Filippo il Buono nello sposarsi volle eternare la memoria di colei che sino a quel momento era stata la sua amante, Maria di Rumbrugge, dalla bellissima capigliatura bionda.
Sia come sia, esso, secondo la classificazione fatta dal Sansovino nell’opera Dell’origine dei Cavalieri, edita nel 1556, venne definito ordine di collana, vale a dire uno dei massimi ordini dinastici creati dalle case regnanti (quali quello della Santissima Annunziata o della Giarrettiera) che stabilivano un rapporto preferenziale fra il Gran Maestro -che coincideva col sovrano- e l’investito, di livello superiore a quelli di sperone, che pur istituiti da case regnanti o da pontefici, prevedevano una diversa relazione fra il cavaliere e l’investitore o erano, per la concessione, delegati a feudatari. Le sue caratteristiche originarie prevedevano che i cavalieri fossero gentiluomini senza macchia, possedessero nobiltà di sangue, non appartenessero ad altri ordini -a meno che non fossero dei sovrani-, tenessero sempre scoperta e ben in vista l’insegna dell’ordine, giurassero di serbare fede e fraternità nei confronti del Gran Maestro e degli altri cavalieri e che non potessero essere privati dell’ordine se non dopo essere stati condannati per eresia, o per fellonia, o tradimento o per esser fuggiti in battaglia. Considerata l’epoca, aveva alcune peculiarità che lo distinguevano da altri ordini simili: era puramente secolare e non sottoposto a vincoli religiosi -anche se veniva concesso solo a cattolici e le varianti ai suoi statuti erano sottoposte ad approvazione pontificia-, non era militare e neppure legato alla nazionalità. Fra i privilegi originari val la pena di ricordare una curiosità: i cavalieri, quando erano ospiti a Corte, godevano di due misure di pane e due di vino per il valore di 10 leardi al giorno. L’insegna dell’ordine era costituita da una collana di 55 anelli d’oro a forma di B, per ricordare Borgogna, da uno dei quali pendeva il vello, essa alla morte del titolare doveva essere restituita al sovrano, caratteristica quest’ ultima anche di altri ordini dello stesso tipo. La condizione della restituzione non veniva però sempre osservata dagli eredi del titolare, a volte nascevano dispute col Segretario dell’Ordine, altre volte la famiglia del defunto preferiva offrire delle monete d’oro colle quali fondere un nuovo collare piuttosto che restituire quello che era stato consegnato al loro congiunto. L’abito dei cavalieri era una sorta di manto o meglio di dalmatica di color cremisi inizialmente di stoffa e poi con Carlo il Temerario di velluto, sul capo un berretto dello stesso colore del manto che lasciava cadere sul lato destro del petto una lunga coda.
La sua importanza, in origine piuttosto limitata, crebbe quando passò alla Casa d’Asburgo per l’estinzione della casa di Borgogna, sino a divenire con Carlo V ed i suoi immediati successori la massima onorificenza a livello europeo. Questo sovrano infatti ne insignì tutti i più eminenti monarchi del tempo, amici o nemici che fossero, tra essi Francesco I di Francia, Federico II di Baviera; Emanuele I di Portogallo, Luigi II d’Ungheria e Boemia e Ferdinando Imperatore dei Romani. Fra gli italiani, sino all’avvento al trono di Carlo V, furono investiti solo alcuni membri di Casa Savoia, Filippo conte di Bresse da Carlo il Temerario nel 1468, Giacomo conte di Romont da Massimiliano d’Asburgo duca d’Austria nel 1478, ed infine Filiberto II da Filippo il Bello nel 1501.
Essere cavaliere del Toson d’oro voleva dire essere compagno del sovrano e come tale sottoposto alla sua esclusiva giurisdizione, significava elevarsi al di sopra degli altri titolati. Dal Seicento l’Ordine cominciò a perdere le caratteristiche originarie, che lo vedevano come segno palese di un rapporto di cavalleresco cameratismo fra il sovrano e i suoi fidati collaboratori o di adesione da parte di altri principi alla sua politica, per acquistare quelle di un riconoscimento teso a soddisfare ambizioni personali. Tale trasformazione sviluppatasi in contemporanea alla concessione da parte delle monarchie iberica, francese e da quelle minori, di un gran numero di titoli spinse gli esponenti delle famiglie che da più tempo appartenevano al ceto nobiliare a ricercare la dignità del Tosone (e per le nobiltà diverse dalla spagnola di ordini similari) quale elemento che marcasse la loro superiorità su quelli di più recente nobilitazione. Inoltre, anche se persisteva la finzione giuridica che l’onore fosse concesso per autonoma decisione del sovrano in realtà le cose si svolgevano assai diversamente, erano vere e proprie lobby a sponsorizzare ora l’uno ora l’altro dei candidati che cercavano di mettere nella miglior luce possibile i meriti guadagnati dall’aspirante al servizio del re e della monarchia spagnola, spesso accompagnati da consistenti esborsi di denaro ed a volte oggetto di mercanteggiamenti che lasciano sconcertati. Si racconta ad esempio che Carlo Borromeo conte di Arona che aveva chiesto il Grandato di Spagna come ricompensa dei servizi resi da lui e dalla sua famiglia alla Corona, fu accontentato col Toson d’oro e non tanto per quanto fatto ma perché marito di una nipote di papa Odescalchi.
Alla sua fondazione l’Ordine contava 25 cavalieri, portati pochi anni dopo a 30 e quindi a 50 nei primi anni del Cinquecento. In origine il cerimoniale prevedeva che all’investitura presiedesse il sovrano nella sua qualità di Gran Maestro, poi col tempo e l’allargarsi dell’area geografica entro la quale erano scelti i cavalieri, ciò divenne impossibile, si addivenne alla consuetudine che il re delegasse ad un cavaliere l’onore di investirne un altro. Fra le investiture di cavalieri italiani fatte direttamente dai sovrani di Casa d’Asburgo si ricordano quelle di Carlo Emanuele I duca di Savoia e di Alessandro Farnese duca di Parma e fra le molte compiute da intermediari quelle di Francesco Maria II duca d’Urbino e di Carlo d’Aragona duca di Terranova da parte del Alessandro Farnese nel 1588; di Vincenzo Gonzaga duca di Mantova da parte del prima citato duca di Terranova -anche nella sua qualità di Governatore dello Stato di Milano-, sempre nel 1588; di Inigo d’Avalos marchese di Pescara da parte del duca d’Urbino nel 1605; di Fabrizio Carafa principe della Rocella e di Marino Caracciolo principe di Avellino nel 1624; di Tiberio Carafa nel 1627 da parte del Viceré di Napoli Antonio Alvarez de Toledo duca d’Alba; di Francesco Caetani duca di Sermoneta dall’Ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede nel 1659. Con Carlo V, quasi a voler consolidare l’egemonia asburgica sulla penisola, numerosi furono gli italiani o assimilabili in quanto titolari di grandi feudi nella penisola, investiti dell’onorificenza, che al titolo principesco univano la militanza al servizio della Spagna: nel 1519 Pietro Antonio Sanseverino, principe di Bisignano; nel 1531 Andrea Doria principe di Melfi (abile capitano e negoziatore dell’indipendenza di Genova sia pure in stretta alleanza con la Spagna); Ferrante Gonzaga duca d’Ariano e principe di Molfetta (comandante delle truppe spagnole nella guerra contro Firenze [1530], Vicerè di Sicilia nel 1535, Governatore di Milano nel 1546 e comandante di un corpo di truppa a San Quintino); Alfonso d’Avalos marchese di Pescara (in realtà spagnolo), generale dell’esercito dell’Imperatore Carlo V, riprese l’isola di la Goletta ai Barbareschi e si distinse nella guerra contro Tunisi nel 1535, Governatore di Milano nel 1542 combattè contro i francesi in Piemonte; nel 1546 Cosimo de Medici duca di Toscana, Emanuele Filiberto duca di Savoia (uno dei maggiori capitani dell’esercito spagnolo che qualche anno dopo sarà il vincitore della battaglia di S. Quintino); Ottavio Farnese duca di Parma e Piacenza, Filippo Lannoy principe di Sulmona. Filippo II seguì la stessa politica del padre: insignire della decorazione gli esponenti delle casate italiane titolari di sovranità e premiare la fedeltà dei principali esponenti delle nobiltà locali con particolare riguardo a quelle dei regni di Napoli, di Sicilia e del ducato di Milano. Una ventina gli insigniti da questo sovrano: nel 1555, nel capitolo di Anversa, Gonzalo Fernandez de Cordova duca di Sessa e Terranova, Francesco Fernando Avalos 5° marchese di Pescara, Antonio Doria marchese di Santo Stefano, Ascanio Sforza Sforza conte di Santafiora; nel 1559, nel capitolo tenuto a Gand, Marcantonio Colonna principe e duca di Tagliacozzo e Palliano (comandante della cavalleria spagnola nella guerra contro Siena, capitano generale dell’esercito spagnolo in Italia, comandante della flotta pontificia alla battaglia di Lepanto nel 1571, Gran Connestabile del regno di Napoli, Viceré di Sicilia dal 1577 al 1584), Guidobaldo della Rovere duca di Urbino, Carlo Lannoy 5° principe di Sulmona; nel 1585 Carlo Emanuele I duca di Savoia, Francesco Cosimo de Medici granduca di Toscana, Alessandro Farnese 3° duca di Parma e Governatore dei Paesi Bassi, Orazio Lannoy 6° principe di Sulmona, Francesco Maria conte di Montefeltro della Rovere 5° duca d’Urbino, Vespasiano Gonzaga duca di Sabbioneta, Carlo d’Aragona duca di Terranova, principe di Castelvetrano e Governatore dello Stato di Milano; nel 1586 Alfonso Felice d’Avalos d’Aquino 6° marchese di Pescara; Vincenzo Gonzaga duca di Mantova, Francesco Santapau 2° principe di Butera; nel 1587 Onorato Caetani 6° duca di Cisterna (generale dell’esercito spagnolo, nel 1571 ebbe il comando della fanteria pontificia alla battaglia di Lepanto), nel 1589 Francesco Fernando d’Avalos marchese di Pescara, Vincenzo Gonzaga duca di Mantova, Pietro de Medici.
Non sfugge, nelle nomine di questi due sovrani, la continuità nelle concessioni agli esponenti delle maggiori case regnanti italiane, i duchi di Savoia, i granduchi di Toscana, i Farnese di Parma e Piacenza e i della Rovere duchi d’Urbino; mentre fra le case non regnanti vennero premiati per la loro fedeltà al servizio della corona di Spagna i Lannoy, i d’Avalos, i Gonzaga. Dei due siciliani insigniti da Filippo II, Carlo d’Aragona ricoprì incarichi di tutto rilievo, fu Gran Connestabile e Grande Ammiraglio, Presidente e capitano generale (per nove anni) e più volte Deputato del Regno di Sicilia, Viceré di Catalogna, Governatore dello Stato di Milano, Governatore della Monarchia di Spagna, e primo principe di Castelvetrano; Francesco Santapau fu Strategoto di Messina e secondo principe di Butera. La cerimonia dell’investitura del Santapau è rimasta nelle cronache come una delle più spettacolari. Per ricevere l’onorificenza giunse a Napoli da Messina sulla nave capitana di Sicilia e fu accolto con onori quasi pari a quelli di un sovrano regnante, rimase a Napoli per oltre venti giorni durante i quali il viceré e la nobiltà napoletana se lo disputarono con i più fastosi inviti.
Filippo III non si allontanò un gran ché dalla politica del padre e del nonno, ma dell’onorificenza furono beneficiari non tanto i capi delle principali case regnanti in Italia, quanto quelli di stati minori, oltre ovviamente i rappresentanti delle aristocrazie fedeli alla Spagna. Si affermava in sostanza una politica, che non potendo più aggregare attorno alla Corona di Spagna, in ragione della sua forza, altri stati di media grandezza, tendeva a gratificare, senza spendere troppo, i ceti nobiliari che costituivano la classe dirigente del tempo sia nella madre patria sia nei possedimenti italiani ed europei. Le investiture riguardarono: nel 1596 Ferrante Gonzaga duca d’Ariano e principe di Molfetta; nel 1600 Pietro Caetani duca di Sermoneta, Ranuccio Farnese 4° duca di Parma e Piacenza, Luigi Carafa di Marra principe di Stigliano; nel 1601 Carlo Tagliavia d’Aragona 2° duca di Terranova, nel 1605 Ambrogio Spinola marchese di Sesto e di Venafro, Cesare d’Este duca di Modena, Alessandro Pico duca di Mirandola, Camillo Caracciolo 2° principe di Avellino, Matteo de Capua principe di Conca, Inigo d’Avalos marchese di Pescara, Virginio Orsini duca di Bracciano, Marzio Colonna duca di Zagarolo; nel 1607, Andrea Matteo Acquaviva d’Aragona 2° principe di Caserta, Fabrizio Branciforti 3° principe di Butera, Antonio de Moncada ed Aragona principe di Paternò, Andrea Doria principe di Melfi; nel 1609 Giovanni Tagliavia d’Aragona e Pignatelli 3° duca di Terranova; nel 1610 Francesco Colonna principe di Palestrina; nel 1612 Francesco Gonzaga principe di Castiglione, Federico Landi 4° principe di Val di Taro; nel 1616 Carlo Filiberto d’Este marchese d’Este; nel 1617 Paolo di Sangro 2° principe di San Severo. Scorrendo i nomi degli insigniti non si può fare a meno di notare sia l’equilibrio numerico fra napoletani, romani, siciliani e milanesi, sia la costanza delle nomine in alcune famiglie come i d’Avalos, i Gonzaga e gli Aragona, sia il mantenimento dell’onorificenza al principe di Butera, pur essendo passato il titolo dai Santapau ai Branciforte.
Con Filippo IV e ancor più con Carlo II il Toson d’oro venne raramente concesso ai principi regnanti dei maggiori stati italiani e sempre di più agli esponenti delle aristocrazie locali che si ponevano con continuità al servizio della Spagna. Un segno della minore influenza spagnola sui maggiori stati indipendenti della penisola è il fatto che nei 25 anni del regno di Filippo IV, furono insigniti di quest’ordine solo tre sovrani italiani, peraltro a capo di stati assai modesti per importanza ed estensione, Onorato Grimaldi principe di Monaco, Francesco d’Este duca di Modena, e Nicola Ludovisi principe di Piombino. Sotto Filippo IV nel 1624 furono insigniti, oltre al già citato principe di Monaco, Paolo Savelli 1° principe di Albano, Fabrizio Carafa principe della Roccella, Marino Caracciolo 4° principe di Avellino; nel 1627 Tiberio Vincenzo del Bosco Velasquez e Aragona duca di Misilmeri e maritali nomine principe della Cattolica; nel 1628 Tiberio Carafa 6° principe di Scilla a Bisignano, Ottavio Visconti conte di Gamalerio; nel 1629 Rambaldo conte di Collalto; nel 1631 Filippo Spinola marchese di los Balbases (inserito qui solo per le origini italiane della famiglia ma di fatto spagnolo a tutti gli effetti); nel 1633 Giovanni Battista di Capua principe di Caspoli e di Conca; nel 1634 Paolo di Sangro principe di San Severo, Ettore Ravaschieri principe di Satriano, Ercole Teodoro Trivulzio 2° principe di Musocco; nel 1638 Francesco d’Este duca di Modena; nel 1639 Francesco Maria Carafa 5° duca di Nocera, Marino Caracciolo principe di Avellino; nel 1642 Carlo de Tocco duca di Leucado e principe di Montemiletto; nel 1644 Ottavio Piccolomini e Aragona 1° duca di Amalfi, Francesco del Carretto marchese di Grana; nel 1646 Marco Antonio Colonna 5° principe di Palliano e duca di Tagliacozzo, Francesco Filomarino principe di Rocca d’Aspro; nel 1647 Giovanni Francesco Pimentel 7° duca di Benevento, Nicola Guzman e Carafa 7° principe di Stigliano; nel 1650 Sigismondo Sfondrati marchese di Montafia; nel 1651 Luigi de Moncada e Aragona 7° duca di Montalto, Diego d’Aragona 4° duca di Terranova, Ferdinando del Carretto marchese di Grana; nel 1657 Carlo d’Este marchese di Borgomanero, Nicola Ludovisi principe di Piombino, Giovanni Ferdinando conte di Porcia, Annibale Gonzaga principe di San Martino; nel 1658 Berardino Savelli principe di Albano; nel 1659 Francesco IV Caetani 9° duca di Sermoneta (sarà pochi anni dopo Viceré di Sicilia), Bernardo Fabrizio Pignatelli 5° duca di Monteleone, Giulio Savelli principe di Albano; nel 1662 Giovanni Battista Borghese 2° principe di Sulmona; nel 1663 Francesco Marino Caracciolo 4° principe di Avellino, Filippo II Caetani 4° principe di Caserta, nel 1664 Antonio Teodoro Trivulzio 3° principe di Mesocco. Qualche autore inserisce fra gli insigniti anche un Giovanni Battista di Capua marchese di Campolattaro, di cui però non si è trovata traccia sugli elenchi consultati.
Notevolissimo il numero dei napoletani e dei principi romani feudatari della Spagna per i loro possedimenti nell’Italia meridionale. Assai più modeste le rappresentanze lombarda e siciliana, la prima di 4 e la seconda di un elemento. Si ripetono rispetto al sovrano precedente, a significare il loro tradizionale attaccamento al servizio della monarchia spagnola, membri delle famiglie dei Caetani di Sermoneta, dei Caracciolo principi di Avellino (sono tre fra il 1605 ed il 1663), dei de Capua di Conca, due -cui si aggiungerebbe (se fosse valido quanto da altri verificato) quello del ramo dei de Capua di Campolattaro-, dei Colonna di Zagarolo e di Palestrina cui si unisce con Filippo IV un Colonna di Tagliacozzo, dei Carafa di Sabbioneta cui si aggiungono altri rami della famiglia i Carafa di Scilla e i Carafa di Nocera. Appaiono al servizio di Spagna anche esponenti della famiglia del Carretto, originaria dei feudi dell’Impero a cavaliere fra Piemonte e Liguria e fiorente anche in Sicilia, di cui due furono insigniti dell’alto riconoscimento e così pure dei Porcia in Friuli. Con Carlo II, il Toson d’oro venne ancora concesso a tre principi di piccoli stati italiani: Giovanni Battista Ludovisi principe di Piombino, Alessandro Farnese duca di Parma e Alessandro II duca di Mirandola. Gli altri investiti furono in genere esponenti delle grandi famiglie feudatarie milanesi, romano-napoletane (si usa questo termine forse non troppo felice per indicare le casate romane con ampi possedimenti nel napoletano), napoletane e siciliane. Nel lungo e non brillante regno dell’ultimo sovrano della casa d’Asburgo sul trono di Spagna, quasi una quarantina furono gli italiani insigniti della decorazione, nel 1666 il già citato Alessandro II; nel 1668 Marzio Carafa 7° duca di Maddaloni, Lorenzo Onofrio Colonna principe di Palliano, Maffeo Barberini 3° principe di Palestrina; nel 1669 Giovanni Battista Ludovisi principe di Piombino, Teobaldo marchese Visconti conte di Gallarate; nel 1670 Ettore Pignatelli Aragona 6° duca di Monteleone; nel 1671 Giulio Cesare Colonna principe di Carbognano; nel 1672 Ferdinando Francesco d’Avalos e Aquino 10° marchese di Pescara; nel 1675 Carlo Antonio Spinelli 5° principe di Cariati; Alessandro Farnese duca di Parma, Andrea Fabrizio Pignatelli duca di Monteleone, Antonio conte Trotti Bentivoglio; nel 1678 Carlo Borromeo conte di Arona, Cesare marchese Visconti, Ettore Enrico del Carretto marchese di Savona; nel 1681 Nicola Pignatelli 8° duca di Monteleone, Domenico Marzio Carafa 8° duca di Maddaloni, Giuseppe Branciforti principe di Butera, di Leonforte, di Pietrapersia; nel 1684 Francesco Maria Carafa 3° principe di Belvedere; nel 1687 Eugenio di Savoia, Urbano Barberini 4° principe di Palestrina, Eugenio Alessandro principe de la Tour e Taxis e Wolfango Andrea Orsini; nel 1688 il maresciallo di campo Antonio Carafa conte di Forlì; nel 1689 Filippo Alessandro Colonna 7° principe di Palliano; nel 1694 Baldassare Naselli principe d’Aragona, Francesco Maria Caracciolo 5° principe di Avellino, Giuseppe Matteo Orsini duca di Paganica; nel 1695 Cesare marchese Vidoni, Antonio Francesco conte di Collalto; nel 1697 Carlo Carafa principe di Belvedere; nel 1698 Nicola Placido Branciforte principe di Pietraperzia e di Leonforte (sarà dal 1705 principe di Butera), Ottavio marchese Cavriani; nel 1700 Ferdinando Francesco Gravina e Cruillas principe di Palagonia, Domenico Acquaviva e Aragona conte di Conversano, Carlo conte Archinto, Cesare Michelangelo d’Avalos marchese di Pescara. Anche in questo caso assai alto il numero dei napoletani, seguiti dai milanesi, dai romano-napoletani, dai siciliani, dai veneti e dai non classificabili Eugenio di Savoia e Ottone del Carretto.
Con la morte di Carlo II si estinse il ramo degli Asburgo sul trono di Spagna sul cui salì, per volontà del defunto sovrano, un cadetto della Casa di Borbone, cosa che non fu accettata dal ramo degli Asburgo regnante a Vienna da cui la guerra di successione di Spagna che, iniziata nel 1700, terminò di fatto nel 1720 con lo sgombero della Sicilia e della Sardegna che gli Spagnoli avevano riconquistato nel 1717 e ’18 riaprendo il conflitto dopo il Trattato di Utrecht. Anche l’Ordine del Toson d’oro finì nella diatriba, di esso rivendicavano la carica di Gran Maestro sia Filippo V sia l’Imperatore dei Romani, Carlo VI, così alla fine del periodo bellico, dopo che gli Austriaci si erano impossessati del tesoro dell’Ordine che non intendevano restituire, esso si sdoppiò in una decorazione spagnola ed in una austriaca. In Italia l’influenza spagnola si fece sempre più debole, di fatto esercitandosi solo, dal 1735 e fino a che fu in vita Carlo III, nei regni di Napoli e Sicilia, mentre assunse sempre maggior rilievo quella austriaca. Contemporaneamente l’Ordine, nei suoi due tronconi, accentuò la caratteristica che aveva preso negli ultimi anni della sua esistenza unitaria, cioè di ordine nazionale perdendo quasi del tutto quell’internazionalità che ne aveva fatto una delle più ambite dignità del XVI e di parte del XVII secolo. La storia dell’Ordine nella penisola nel corso del XVIII secolo è peraltro fatto da ricordare in altra occasione. (alf)

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