Filosofia del blog.

"Se qualcuno riesce a convincermi e dimostrarmi che la mia opinione o il mio comportamento non sono quelli giusti, li cambierò con gioia. Io, infatti, cerco la verità, che non danneggia nessuno. Al contrario danneggia se stesso chi persiste nel proprio errore e nella propria ignoranza." (Marco Aurelio, VI, 21) "Lo studente accorto ascolta volentieri chiunque; legge tutto, e non disprezza alcun libro, né presona, né dottrina. Cerca indifferentemente presso tutti ciò che vede mancare a se, e non considera la portata del suo sapere, ma quella della sua ignoranza [...]. Supererai chiunque in saggezza, se accetti di imparare da chiunque: coloro che ricevono da tutti sono più ricchi di tutti..." (Ugo da S.Vittore, Didascalion) "La lettura rende l'uomo completo, il dialogo lo rende pronto, la scrittura preciso." (Francesco Bacone) ...l'intelligenza non si perde nell'analisi, ma si esprime nella sintesi... ...nel territorio digitale non serve imporsi, ma bisogna esporsi... ...arrivare alla pace del cuore... mostrami Signore la tua via, perché nella verità io cammini, donaci un cuore semplice... insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore...inquietum est cor nostrum, donec requiescat in Te, Domine... "La verità si nasconde nelle pieghe della storia" (Pascal). Chi dimentica il passato, è costretto a riviverlo (G. Santaiana).

domenica 24 luglio 2011

150 ANNI: ELENA BIANCHINI BRAGLIA, dietro la retorica, spunta la verità

Elena Bianchini Braglia, studiosa e ricercatrice modenese, è una delle esponenti della nuova storiografia critica verso il Risorgimento che nell’ultimo decennio si è fatta strada tra i “custodi dell’ortodossia” idealista e marxista. Specialista della storia Estense, ha pubblicato tra l’altro “Adelgonda di Baviera, l’ultima duchessa di Modena, Reggio, Massa Carrara” (Tei, 2003) “Maria Beatrice Vittoria. Rivoluzione e Risorgimento tra Estensi e Savoia” (Tei, 2004), “O regina o Santa. Maria Beatrice d’Este, l’unica italiana sul trono d’Inghilterra spodestata per la fede” (Tei, 2005)’e “In esilio con il Duca. Storia esemplare della Brigata estense (Il Cerchio, 2007).
È direttore editoriale della rivista “Il Ducato” e presidente del Centro Studi sul Risorgimento e gli Stati preunitari. 
Lettera Napoletana le ha rivolto alcune domande sulle celebrazioni per i 150 anni e le prospettive della “battaglia di verità” su Risorgimento ed unificazione.

D- Dopo il picco mediatico del 17 marzo, le celebrazioni per i 150 anni dell’unificazione politica dell’Italia hanno perso forza e interesse. Si può tracciare un primo bilancio di queste celebrazioni, soprattutto sotto il profilo della ricerca storica e dell’approfondimento?
R- Credo che queste celebrazioni - benché non si sia potuta evitare una certa dose di retorica - si siano infine rivelate una buona opportunità per una rilettura in senso critico del risorgimento. Le celebrazioni ufficiali si sono risolte nelle solite manifestazioni, con un profilo peraltro piuttosto basso. Ed effettivamente dopo il picco del 17 marzo l'interesse si è esaurito. Questo basso profilo tenuto dalle celebrazioni ufficiali potrebbe dipendere anche dalla consapevolezza di un possibile "rovescio della medaglia" delle celebrazioni stesse: l'emergere del bisogno di verità. E infatti, come dicevo all'inizio, questa ricorrenza si è rivelata un'arma a doppio taglio per gli apologeti della retorica e una nuova insperata opportunità per coloro che portano avanti una visione critica e che finora hanno avuto poco spazio. Così da un lato abbiamo avuto le manifestazioni ufficiali, con qualche bandiera, poco pubblico,
e nessun contributo di rilievo a livello storico. Dall'altro abbiamo avuto nuove ricerche, approfondimenti, pubblicazioni, su verità finora nascoste. E questi contributi hanno certamente tratto un beneficio indiretto dall'interesse massmediatico creatosi nel 150° intorno al risorgimento....
D- Dalla storiografia risorgimentale e dalla letteratura di divulgazione non sono arrivati contributi significativi. Sono uscite una serie di biografie, quasi sempre curate da giornalisti, e qualche ristampa. Da parte dei critici del Risorgimento e del processo unitario c’è stata invece un’ampia produzione, ed ormai si può parlare di una nuova storiografia quasi sempre non accademica, che pubblica con piccole case editrici ma riesce ad avere un impatto sull’opinione pubblica. Condivide questa analisi?
R - Assolutamente sì. Come dicevo, le celebrazioni ufficiali non hanno portato alcun contributo storico. Gli accademici, obbligati ad attenersi alla storiografia ufficiale, ma certamente consapevoli della sua falsità, sono rimasti perlopiù in silenzio. Qualche giornalista ha cercato di cavalcare l'argomento, ma con scarsissimo successo. D'altra parte la verità sta emergendo, e dopo decenni di bugie se ne avverte il bisogno. E chiunque può comprendere che non è un libro che celebra l'Italia quello che, ad esempio, ne riduce la storia a risorgimento, guerre mondiali e resistenza, in poche pagine a caratteri cubitali. La retorica è superata, la gente è ormai distaccata dalla storia, non è più interessata a sentirsi ripetere le solite favole. Così, i pochi interessati ai libri preferiscono leggere qualcosa di serio e di nuovo. E infatti i testi critici sul risorgimento sono stati molto più numerosi, molto più letti, e finalmente esposti in libreria, e non più solo - come era fino a poco tempo fa - a disposizione della piccola elite disposta a intraprendere faticose ricerche presso le piccole case editrici.

D- Molta della letteratura nella polemica sull’unificazione è dedicata al Regno delle Due Sicilie, ma meritano attenzione anche gli altri Stati della “vecchia Italia”, dove le modalità dell’unificazione furono altrettanto violente. Quali sono i motivi specifici di interesse per la storia del Ducato di Modena?
R- Modena rappresenta un caso certamente emblematico. Pur essendo un piccolo ducato, territorialmente poco esteso, era un vivace centro culturale, ben inserito nella diplomazia europea, governato da secoli dalla stessa Casata, amatissima dal popolo. Nell'Ottocento liberale, Modena era considerata "la roccaforte del legittimismo", la "città più reazionaria d'Italia". A Modena ha trovato buona ospitalità il principe di Canosa caduto in disgrazia a Napoli, gli intellettuali modenesi pubblicavano riviste cattoliche e legittimiste ovunque apprezzate, ed erano in stretto contatto con Monaldo Leopardi. Il popolo era fedele al Duca, e i primi mesi del governo piemontese furono caratterizzati da continue rivolte legittimiste, e ancora molti anni dopo l'esilio del Duca, gran parte dei modenesi continuava ad attendere il suo ritorno. I Piemontesi ebbero molte difficoltà a tenere Modena, temevano di vedersela sfuggire dalle mani con una controrivoluzione. Farini fu nominato dittatore proprio per questo: perché una figura autoritaria a tenesse sotto controllo una situazione precaria. Farini peraltro cercò in ogni modo - invano - di far rientrare i soldati che, l'11 giugno 1859, erano partiti volontariamente in esilio con il duca Francesco V d'Austria Este. Non facevano certo buona pubblicità alla causa unitaria e liberale questi uomini, provenienti da ogni ceto sociale, che lasciavano i beni e la famiglia pur di non abbandonare il loro sovrano. E infatti Teodoro Bayard De Volo avrebbe definito il caso della Brigata Estense, il vero plebiscito del ducato di Modena, così come Carlo Alianello avrebbe detto che il vero plebiscito del sud era stato il fenomeno del cosiddetto brigantaggio. A Modena, come al sud, la reazione all'invasione fu lunga e dolorosa. Le ridotte dimensioni territoriali del Ducato facilitarono l'azione dell'usurpatore, i modenesi non poterono opporsi con le armi come fecero i "briganti" nel regno delle Due Sicilie, così il tributo di sangue pagato dal meridione a Modena non ci fu. Tuttavia molte persone ebbero la vita rovinata: gli intellettuali celebri e stimati durante la restaurazione, con l'arrivo di Farini furono privati delle loro cattedre universitarie, alcuni furono arrestati, le famiglie note per loro fedeltà al Duca venivano perseguitate con ricatti ed estorsioni, mentre tremila soldati finirono la loro vita in miseria, lontano dalla patria e dai loro cari. Erano convinti di averlo fatto per salvare l'onore, erano convinti che la storia li avrebbe celebrati come esempio di eroismo e integrità. Invece la storia li ha dimenticati, quando non calunniati. L'oblio forzato che ovunque ha investito eventi e personaggi del passato ad opera d'una cultura manipolata che fatta l'Italia ha cercato di fare gli italiani nel modo più sbagliato – denigrando quelli di prima – ha trovato nel caso di Modena una delle sue massime espressioni. I risultati dell'ostinata fedeltà al Duca appaiono evidenti oggi per le vie della città: nulla ricorda il passato estense d'una raffinata, colta capitale. Modena, la “città più reazionaria” d'Italia, nella mal interpretata logica del “fare gli italiani”, venne costretta a dimenticare, con un'opera di damnatio memoriae che ancora perdura a discapito della bellezza e della cultura della città stessa. Per questo oggi è interessante e oserei dire doveroso studiare la storia di Modena, e di tutte le altre antiche capitali. Perché lì risiede un glorioso passato tutto da riscoprire. Perché dobbiamo ridare vita e dignità a grandi personaggi che per l'Italia - quella vera - hanno fatto tanto e non meritano la dannazione culturale postuma che è stata loro inflitta. Perché dobbiamo ridare alla nostra gente quell'orgoglio e quella consapevolezza delle proprie radici che sono necessari a costruire un degno futuro e che ci sono stati tolti da chi, nonostante tutto e magari solo per avere sventolato una bandiera in occasione di un anniversario, continua a considerarsi italiano o addirittura patriota.

D- Da anni si dedica alla ricerca con il Centro studi sul Risorgimento e sugli Stati preunitari, l’Associazione “Terra e identità”, la rivista “Il Ducato”, ed i suoi libri. Si può dire che negli ultimi anni la visione dell’Italia pre-unitaria ha cominciato a cambiare?
R- Fortunatamente sì. Dopo decenni di bugie o di oblio, ora cominciano ad aprirsi alcune prospettive. Purtroppo nel frattempo i danni creati sono stati enormi, e forse irreparabili: la retorica, le bugie, lo svilimento della storia e della cultura, hanno allontanato la gente dagli interessi culturali. Ora siamo un popolo di lavoratori ai limiti della schiavitù (peraltro inconsapevole, quindi più grave), appiattiti sul meramente utile, portati a considerare come superfluo tutto ciò che esce dagli schemi imposti dalla vita quotidiana. Così la cultura è rimasta una prerogativa di una ristretta elite. Tuttavia, quei pochi "sopravvissuti" a livello culturale, desiderano conoscere la verità, hanno bisogno di riscoprire ciò che è stato cancellato. A Modena, per fare un esempio, non si era mai parlato di Estensi, ma quando abbiamo cominciato con le pubblicazioni e le iniziative della nostra Associazione culturale, si è risvegliato un interesse inatteso, a dimostrazione del fatto che comunque esiste e resiste un'aspirazione alla conoscenza del vero.

D- Joseph de Maistre, guardando le rovine della Rivoluzione, parla della necessità della “rettificazione dello stato in cui siamo caduti”. Nel caso dell’Italia, come potrebbe avvenire questa “rettificazione”? La soluzione politica potrebbe essere il federalismo, al quale Francesco d’Austria Este, prima di diventare Duca di Modena, dedicò un saggio?
R- Il federalismo potrebbe senz'altro essere un buon punto di partenza, ma occorre che non rimanga limitato a questioni economiche. L'ideale sarebbe un federalismo che ricalcasse il più possibile le antiche regioni storiche (le attuali regioni sono un'invenzione senza radici culturali) e comunque è indispensabile una riscoperta e una rivalutazione delle tradizioni, delle culture, della storia delle nostre terre e dei nostri popoli. Tutto ciò che rendeva brillante e vivace l'Italia delle antiche capitali - faro culturale di tutta Europa - è stato sacrificato, soffocato dall'opera di omologazione sabauda, e poi dal generale livellamento verso il basso che ha caratterizzato la nostra cultura.
I sedicenti patrioti per salvare centocinquant'anni della nostra storia, hanno cancellato secoli di gloria, con i luoghi comuni di cui accennavo sopra ci hanno insegnato a disprezzare noi stessi e la nostra storia. È da lì che bisogna ripartire: perché sia possibile la “rettificazione dello stato in cui siamo caduti” di cui parlava Joseph de Maistre occorre che politica e cultura si riuniscano, si mettano d'accordo per non separare più ciò che non può essere ragionevolmente separato: perché per una vita umana dignitosa è necessario sì il benessere materiale, ma anche (e il fatto che molti non se ne rendano conto non toglie la necessità) quella ricchezza interiore che sola ha sempre contraddistinto l'uomo dagli animali e che nasce dalla ricerca del bello, dall'autostima, dalla conoscenza di sé e delle proprie radici”. (LN41/2011)

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