Filosofia del blog.

"Se qualcuno riesce a convincermi e dimostrarmi che la mia opinione o il mio comportamento non sono quelli giusti, li cambierò con gioia. Io, infatti, cerco la verità, che non danneggia nessuno. Al contrario danneggia se stesso chi persiste nel proprio errore e nella propria ignoranza." (Marco Aurelio, VI, 21) "Lo studente accorto ascolta volentieri chiunque; legge tutto, e non disprezza alcun libro, né presona, né dottrina. Cerca indifferentemente presso tutti ciò che vede mancare a se, e non considera la portata del suo sapere, ma quella della sua ignoranza [...]. Supererai chiunque in saggezza, se accetti di imparare da chiunque: coloro che ricevono da tutti sono più ricchi di tutti..." (Ugo da S.Vittore, Didascalion) "La lettura rende l'uomo completo, il dialogo lo rende pronto, la scrittura preciso." (Francesco Bacone) ...l'intelligenza non si perde nell'analisi, ma si esprime nella sintesi... ...nel territorio digitale non serve imporsi, ma bisogna esporsi... ...arrivare alla pace del cuore... mostrami Signore la tua via, perché nella verità io cammini, donaci un cuore semplice... insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore...inquietum est cor nostrum, donec requiescat in Te, Domine... "La verità si nasconde nelle pieghe della storia" (Pascal). Chi dimentica il passato, è costretto a riviverlo (G. Santaiana).

martedì 25 maggio 2010

Ricordare per non dimenticare - Controstoria dell'unità d'Italia 6

Il Governo di Ferdinando II di Borbone.

"Il governo del re Ferdinando II apparve fin dal primo momento preveggente e paterno. Il suo proclama degli 11 gennaio 1831 è dettato in un linguaggio franco e leale che non trova riscontro nelle storie dei nostri tempi. Il novello Re diceva, — aver voluto conoscere in tutta la nudità lo stato di situazione della tesoreria generale, e per quanto trista la si fosse, egli non ne farà mistero.. Il deficit è di ducati 4 milioni 345 mila 251. — * [Vedi l’atto sovrano. pag. 59. R. A.]
"Nel 1831 sembrava una enormezza al giovine Re di Napoli il deficit di poco più di 4 milioni di ducati. Allora....
a nessuno poteva venire in capo che succederebbe un’epoca, nella quale invasori, detti liberali per antifrasi, si vanterebbero di esser venuti in Italia per rigenerarla e felicitarla, facendo salire il deficit annuale a 300 MILIONI DI LIRE con un debito pubblico di oltre 6 MILIARDI!... * [Tali erano le cifre alcuni anni addietro, quando scrivevamo queste pagine; nell’anno di grazia 1882, mercé al progresso massonico, le medesime sono grandemente modificate in peggio!
— Chi parla del debito pubblico italiano, scriveva l’ottima Libertà Cattolica, 6 settembre 1882, parla di un abisso che sempre più si sprofonda; parla, come accennano i giornali inglesi, dal Times allo Statist, di una morte, lenta sì, ma certa. Pochi altri anni, se dura l’ordine presente delle cose, e questo debito diverrà la favola del mondo.
Il Diritto, giornale davvero non sospetto, così ne scrive: "L'interesse del Debito Pubblico non arrivava a cento milioni nel 1860; e, dieci anni dopo, al 31 dicembre 1870, era salito a lire 269,388,493; al 31 dicembre 1880 alla somma di lire 433,710,345 che col debito redimibile dà una cifra superiore a 500 milioni; e capitalizzato solo in ragione del cento per 5, ci ricorda che lo Stato italiano è debitore dell’ingente capitale di otto miliardi, seicentosettantaquattro milioni, dugentoseimila, novecento; ch’è insomma il prezzo della rivoluzione italiana."
Così scrive il giornale del Mancini. Ma non parla della china precipitosa in cui s’è messo il debito sopradetto: china da cui non vi ha mano che lo possa liberare. Senza dubbio il Diritto ha usato in questo caso la prudenza del silenzio per non spaventare se stesso e i suoi confratelli. Ma è un silenzio inutile. Chiara è la voragine di cui parliamo; tutti lo veggono; molti ne sono disperati.
Questo debito costringe a pagare presso a trecento lire annue ciascuno dei ventotto milioni di poveri italiani. È il prezzo del sangue, perché prezzo della rivoluzione. Si dice che la rivoluzione divora i suoi seguaci che sono le sue prede. Noi siam dannati a mirare la verità di sì desolante spettacolo.
Si aggiunge che il Governo né ha voglia né potere di menomarne i disastri. I suoi giornali, come la Riforma, lo confessano debolezza, esitazione, confusione.
Intanto una innumerevole falange di malanni sempre crescenti rende più gravoso questo prezzo del sangue; né vi è chi adesso apponga far rimedio. E ci desolano le dicerie, gli insulti, le contumelie delle altre nazioni, le quali deridono il nostrro stato a dispetto delle fatue cupidigie di certi mestatori che seggono a scranna per iscompigliare i nostri fatti, per annullare il nostro nome.
Siamo noi caratterizzati da taluni giornali stranieri una gente pitocca, poltra, priva di utili industrie, digiuna ed appestata da micidiali miasmi d’aria corrotta. Sono amarissimi tali rimproveri, e ci lacerano il petto come avvelenati dardi.
Certo delle nostre miserie non sono causa i moltissimi onesti e cattolici d’Italia. No, la miscredenza di cui è scritto: miseros facit populos peccatum, è la causa, il principio la radice di tante rovine. — Quale spaventevole differenza coi governi dei Principi spodestati!]
"La saggia economia che prometteva il Re nel suo proclama veniva rigorosamente osservata, e produceva frutti superiori ad ogni aspettazione. E poiché il comando allora soltanto riesce utile ed efficace quando vada accoppiato coll’esempio, il Re principia da sé stesso e dalla sua corte, scemando la lista civile di annui ducati 370 mila (real decreto 9 novembre 1830); con altro decreto dei 4 febbraio 1831 riduce alla metà lo stipendio dei ministri; diminuisce di altrettanto i bilanci della guerra e della marina; economizza annui ducati 600 mila circa sugli esiti di tutti gli altri dipartimenti governativi; e così ottiene l’annuo risparmio complessivo di un milione 241 mila 667 ducati; con che supplisce al vuoto erariale. Contemporaneamente affranca i popoli dal gravoso dazio della macinatura dei cereali; abolisce altri diversi dazii; * [Decreti dei 27 marzo 1832; — 1 settembre 1833; — 13 agosto 1847; — Vedi il testo di questo importante atto sovrano in dorso della carta alligata, pag. 59. R. A.] modifica a vantaggio del commercio la tariffa doganale, sopprimendo la sopratassa di consumazione. * [Decreto 18 aprile 1845] Ribassa i dazii sulla immissione di oltre cento dieci categorie di prodotti stranieri utili per l’industria, per l’agricoltura e per le manifatture; * [Decreti 9 e 26 marzo 1846] disgrava i soldi e le pensioni dal peso della tassa; * [Decreto 16 genn. 1836] sopprime del tutto i dazii d’esportazione su taluni prodotti indigeni; * [Decreto 17 genn. 1842] scema di molto il dazio sul tabacco estero * [Decreto 5 giugno 1846] e sui diritti di bollo alle merci estere; * [Decreto 25 detto] allevia le imposte sulla esportazione dell’olio di olive. * [Decreto 21 nov. detto]
"Con poca spesa, ed in soli 4 anni, fa incanalare il famoso lago di Fucino; restituisce all’agricoltura oltre a 800 mila moggi di terreno del fertile tavoliere di Puglia, svincolandolo da pregiudizievoli consuetudini. Vantaggiosissimo poi per il popolo e non imitato da nessun Governo costituzionale, né dalle antiche o moderne repubbliche, è il decreto dei 29 settembre 1838, col quale "si rivendicano a benefizio dei comuni le usurpazioni dei prepotenti; e la divisione dei demanî comunali fra i cittadini più indigenti a norma della legge;" e con ciò, senza averne gl’inconvenienti, si attuava a pro del proletario la legge agraria, eterno sospiro della democrazia di Roma antica. Compie i ponti a filo di ferro sul Garigliano e sul Calore, primi in Italia; siccome egualmente prima in Italia è la ferrovia costruita sotto i suoi auspicii, * [Vedi R.A. pag. 30 e 31] prima e perfezionata è la navigazione a vapore.
"Così Ferdinando II ristaura la pubblica finanza, reintegra la fiducia generale, a segno da far quasi duplicare il corso dei fondi pubblici dal 68 al 118, cosa non mai più verificatasi in alcun altro paese. Soddisfatti i bisogni, compiute opere di nazionale utilità e decoro, riesce in oltre a ben bilanciare le entrate con le spese, anzi ad aumentare le prime assai al di sopra delle seconde. Il gran libro, la cassa di sconto, quella di ammortizzamento vengono così mirabilmente regolate, che il Debito pubblico napolitano per le sue operazioni e per la sicurezza raggiunge l’apice del credito europeo, ispirando incrollabile fiducia meglio dei più opulenti Stati.
"Quindi è, che bene a ragione quel sommo politico della Gran Brettagna, Sir Roberto Peel, quando da primo ministro sostenne il principio del libero scambio, ebbe a pronunziare le memorande parole: — "Io debbo dire, per rendere giustizia al Re di Napoli, di aver veduto un suo documento autografo, che racchiude principii così veri, come quelli sostenuti dai professori più illuminati di economia pubblica."
"Del resto gli uomini più illustri ed eminenti rendevano giustizia alle reali qualità di Ferdinando II. Per non dire di cento altri, Cobden, il celebre economista Inglese, si dichiarava stupefatto dalle sue risposte sul libero scambio; l’Arciduca Carlo, portatosi a Napoli nel 1840, ne partiva innamorato della persona e delle qualità del Re, il quale produceva pure le più belle impressioni nell’animo dell’Imperatore Niccolò di Russia, quando l’ospitava nel 1847, al suo ritorno di Sicilia.
"In Napoli adunque, per confessione di amici e di nemici, floride finanze, non debiti, non aggravii, non enormezze officiali, non atrocità di delitti, non empietà; ed invece quiete nei popoli, mitezza e benignità nei governanti, abolita quasi la pena capitale dal 1851 al 1854; e ciò non ostante, il Re fa grazia a 2713 condannati per delitti politici ed a 7181 altri per reati comuni, che formano un totale di 9894 individui amnistiati: e notisi che ciò avveniva ad onta delle molte migliaia di settarii frammassoni, che da quasi un secolo travagliavano quel troppo felice paese. — Sarà forse per questo che i cospiratori subalpini chiamarono tiranno il re Ferdinando! —
"Nell’accennato periodo, come si desume da dati statistici officiali, i tribunali criminali pronunziavano 42 condanne capitali e tutte sono condonate dal Re, che ne commuta 19 coll’ergastolo, 11 con 30 anni ai ferri e 12 a pene minori. Napoli non ha conosciuto la deportazione in lontane e malsane colonie, come altri potenti stati a Botanybay, a Lambessa, a Cajenna; e come dopo il 1861 si pratica dal Piemonte, che trascina numerose turbe d’infelici dai tiepidi climi meridionali alle rigide terre di Sardegna, e studia financo come trarne altri sulle coste africane di Mozambico.

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